Ponti non muri.

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di Veronica Federico

Aprire le braccia, costruire ponti e far cadere muri, avere il coraggio di dire “si” ad un’esperienza che sembra essere tanto eccitante quanto complessa e delicata. Questo quello che hanno sperimentato tutti coloro che hanno preso parte ad un progetto organizzato dalla Caritas Italiana attraverso la Caritas Internazionale e che ha visto coinvolti cinquanta bambini ucraini di età compresa tra gli otto e i diciassette anni con i loro accompagnatori. I ragazzi sono stati ospitati dalla Caritas Diocesana di Sessa Aurunca dal 2 al 16 luglio e hanno avuto modo di lasciare per quindici giorni il loro paese dilaniato dalla guerra per poter vivere in un contesto di pace e tranquillità; una sorta di vacanza che ha dato modo di rinfrancare l’animo degli adulti e ridonare il sorriso ai bambini.

Le due settimane sono iniziate in maniera burrascosa e con non poche difficoltà, la comunicazione era complessa e a tratti impossibile, le culture prima che incontrarsi si sono scontrate ma i volontari tutti hanno fin da subito assunto un atteggiamento di Accoglienza – parola chiave e necessaria in questo contesto – verso di loro, hanno accolto richieste, stati d’animo, domande, dubbi, diffidenza e difficoltà e con il sorriso che li ha contraddistinti hanno trasformato tutto questo in occasioni di gioia pura e grazia piena.

«Questa esperienza ci ha fatto toccare con mano le conseguenze di una guerra ingiusta. Nonostante i sorrisi e la voglia di normalità, si è percepita in alcune occasioni la difficoltà di vivere semplici esperienze quotidiane come, ad esempio, sentire il rumore dei fuochi d’artificio, lo scoppio di un palloncino o addirittura dormire senza essere svegliati dall’allarme anti-bomba sul cellulare. La consapevolezza di ciò che li attende dopo questa parentesi italiana ha reso ancora più dura la separazione. Siamo sicuri di aver tessuto una connessione fraterna con i ragazzi e i loro accompagnatori e questo ci rende felici per aver raggiunto gli obbiettivi che ci eravamo prefissati all’inizio. Non dimenticheremo mai i loro volti e faremo in modo di non perderci nonostante la distanza fisica.» Wanda Riccio, Animatrice.

In prima fila Don Osvaldo, direttore della Caritas Diocesana, seguito dai suoi fedeli collaboratori e da otto Animatori che sono stati definiti il “volto della Chiesa”, ed è proprio il loro viso ad essere ricordato dai ragazzi ucraini che con loro hanno trascorso ventiquattro ore su ventiquattro. Accompagnati dalla colazione fino al dopocena gli animatori – ragazzi con età compresa tra i 20 e i 30 anni – hanno saputo gestire non solo in maniera ottimale una situazione che richiedeva una delicatezza particolare ma sono stati in grado di farlo sempre con il sorriso sul volto, hanno regalato gioia e risate con giochi e attività pensate fin nel minimo dettaglio per i loro ospiti, hanno portato a termine una programmazione che li vedeva impegnati dall’organizzazione degli orari alla gestione degli ospiti in struttura e sono stati davvero quel volto che la Chiesa tanto chiede di essere ai giovani di oggi.

«L’esperienza … è stato un vero e proprio schianto contro la realtà che ci circonda e che purtroppo sentiamo troppo lontana dalla nostra. Ogni parola sembra scontata e banale nel dover descrivere tutti i momenti vissuti in quei giorni, ma sopra ogni cosa, la mia esperienza è stata aver avuto l’opportunità di cambiare gli occhi di quei bambini, inizialmente pieni di paura in occhi spensierati e ricchi di gioia. È questo il bello di entrare in vera relazione con il prossimo, vivendo a pieno la vita di chi hai difronte.» Christian di Meo, Animatore.

L’esperienza li ha formati, oltre che professionalmente anche e soprattutto personalmente, parlando con alcuni di loro hanno unanimemente affermato che queste opportunità cambiano la vita e il modo in cui la si percepisce, sono stati messi alla prova sotto ogni punto di vista e, alla fine di tutto, hanno sentito di dover ringraziare loro i bambini per tutto ciò che avevano imparato proprio dai loro piccoli gesti.

«Ci è stato chiesto più volte, da persone che stanno vivendo una guerra e che sono partite per cercare un momento di tranquillità come mai avessimo sempre il sorriso stampato in faccia. È stato in quell’esatto momento che ho capito l’importanza di un sorriso e che forse dovremmo apprezzare di più la vita che il destino ha scelto per noi. Ho capito che, se hai lo stesso cuore non è necessario parlare la stessa lingua per comunicare; la lingua non è una barriera quando c’è un forte interesse nel voler capire l’altro.» dice Federica Natale, animatrice.

I bambini ucraini e i loro accompagnatori sono tornati a casa entusiasti, hanno mostrato grande rispetto per tutti coloro che si sono messi a disposizione per loro, ed hanno regalato emozioni che vanno al di là di ogni tipo di stanchezza vissuta.

«La stanchezza è arrivata forse fin da subito, fin dal loro arrivo in piena notte, eppure non potevamo in alcun modo permettere che questa rovinasse anche un solo momento della nostra esperienza. Di fronte alla gentilezza di bambini piccolissimi, davanti alla preoccupazione di donne responsabili, accanto alle aspettative di ragazzi pronti a mettersi in gioco abbiamo imparato cosa volesse dire “donare tutto sé stesso”. Io ho dato tutto, nel bene e nel male, ma non sono tornata vuota perché i loro abbracci e i loro volti felici mi riempiranno per sempre» Veronica Federico, animatrice.